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La formazione alla mediazione dei conflitti. Spunti di riflessione e percorsi per la riforma

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La formazione alla mediazione dei conflitti. Spunti di riflessione e percorsi per la riforma

di Marco Marinaro

 

Sommario: 1. La qualità del sistema mediazione. – 2. I codici europei di autodisciplina. – 3. Il quadro legislativo e la prima riforma della mediazione. – 4. L’autonomia scientifico disciplinare. – 5. Le commissioni ministeriali per la riforma della giustizia civile. – 6. La riforma all’esame del Parlamento e la proposta per il MIUR.

1.La qualità del sistema mediazione.

Uno dei temi più delicati e che trova la più ampia condivisione quando si avvia il confronto per individuare gli obiettivi della prossima riforma della legislazione in materia di mediazione riguarda la qualità del sistema[2].

Gli studiosi e gli operatori, infatti, sono concordi nel ritenere che non vi possa essere una buona mediazione senza che la qualità dell’intero sistema sia sempre più orientato al raggiungimento di standard qualitativi progressivamente più ambiziosi. E ciò, sia chiaro, non tanto e non soltanto a seguito dell’emersione di fenomeni di malpractice (come accade in ogni ambito del mondo della giustizia e di ogni altro sistema sociale), ma soprattutto perché una mediazione che non risponda (o che almeno non tenda a rispondere) ad elevati parametri qualitativi non è mediazione.

E per quanto possa apparire paradossale una simile affermazione, ciò consegue ad una fondamentale esigenza fatta propria dal legislatore europeo[3] che ha messo al centro dell’ordinamento eurounitario della mediazione proprio la “qualità della mediazione”, tanto che gli Stati membri devono incoraggiare da un lato «l’elaborazione di codici volontari di condotta da parte dei mediatori e delle organizzazioni che forniscono servizi di mediazione nonché l’ottemperanza ai medesimi, così come qualunque altro efficace meccanismo di controllo della qualità riguardante la fornitura di servizi di mediazione» e, dall’altro, «la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti» (art. 4, Direttiva 2008/52/CE).

2.I codici europei di autodisciplina.

In questa prospettiva un notevole rilievo assume il “Codice europeo di condotta dei mediatori”[4] che sin dalla norma di esordio stabilisce che «I mediatori devono essere competenti e conoscere a fondo il procedimento di mediazione. Elementi rilevanti comprendono una formazione adeguata e un continuo aggiornamento della propria istruzione e pratica nelle capacità di mediazione, avuto riguardo alle norme pertinenti e ai sistemi di accesso alla professione» (art. 1.1).

Più recentemente, nella medesima direzione si segnala un altro importante regolamento di autodisciplina ed in particolare il “Codice di condotta europeo per gli organismi di mediazione”[5].

Nei contenuti il Codice appare di notevole interesse e i princìpi affermati dal Cepej non solo possono essere adottati volontariamente dagli organismi che operano nel settore, ma costituiscono un invito agli Stati membri del Consiglio d’Europa alla loro adozione nelle rispettive normative nazionali quali standard utili ad elevare il livello qualitativo dei servizi e ad armonizzare le diverse discipline vigenti.

Infatti, nel Codice europeo un ruolo cardine è assunto dalle norme a tutela della qualità e della competenza, con una particolare attenzione ad aspetti funzionali e strutturali; per cui si richiede – ad esempio – che «vengano mantenuti fondi sufficienti, capacità amministrativa e un numero adeguato di mediatori affiliati»; ma anche che «il personale di segreteria o di case management sia adeguatamente formato nell’assistenza alle parti e a ai mediatori durante l’intera procedura di mediazione»[6].

3.Il quadro legislativo e la prima riforma della mediazione.

Dal punto di vista legislativo, la prima riforma della mediazione attuata nel 2013 ha consentito di avviare un dibattito su una serie di criticità, alcune delle quali – le più rilevanti – attengono proprio alla qualità della mediazione e, quindi, alla professionalità dei mediatori e dell’intero sistema.

Invero, l’attuale assetto normativo costituito dal D.lgs. 28/2010 e dal D.m. 180/2010 ha subìto in questi anni una serie di evoluzioni che hanno inciso profondamente sulla rotta inizialmente segnata dal legislatore. Ciò è accaduto non soltanto con la citata novella del 2013 dettata con la legge 98/2013 (di conversione del D.l. 68/2013), ma altresì con la modifica del regolamento attuativo adottata con D.m. 145/2011 che ha inciso in maniera rilevante sui criteri di designazione del mediatore ridisegnandone indirettamente il profilo professionale anche in dissonanza con la normativa primaria[7].

Non è questa la sede per approfondire questi aspetti, ma è chiaro come il legislatore a volte in maniera contraddittoria ed altre anche senza sufficiente lungimiranza, abbia tentato di introdurre regole che potessero innalzare il livello qualitativo della mediazione modificando tali criteri di designazione.

Ma la vera sfida per la qualità della mediazione attiene in primo luogo alla formazione dei mediatori (e di tutti gli operatori del sistema), poiché è chiaro che la soluzione del problema non può non essere a monte del sistema. E proprio la disciplina che attiene alla formazione è rimasta invariata essendo intervenute soltanto indicazioni interpretative relative ai requisiti che gli aspiranti formatori devono possedere per poter essere accreditati[8].

Per cui l’intero sistema della formazione, costruito mediante un percorso di accreditamento ministeriale di enti (preesistenti o creati “ad hoc”) che si regge su un gruppo di formatori teorici e/o pratici con un responsabile scientifico al quale sono affidate ex lege funzioni (di fatto) assolutamente marginali, è rimasto del tutto immutato. Come immutato è rimasto il percorso per la formazione di base e per l’aggiornamento biennale (quest’ultimo sia per i mediatori sia per i formatori) fatta eccezione per l’introduzione di un tirocinio permanente per i mediatori (in quanto inserito tra gli obblighi di aggiornamento e non tra quelli per l’accesso alla professione)[9].

Una professione, quella del mediatore di controversie civili, che appare disegnata dal legislatore quale attività part-time di professionisti dediti ad altre professioni principalmente giuridiche o, meglio ancora, forensi. Al riguardo la creazione dell’avvocato “mediatore di diritto” e l’interpretazione ministeriale che devolve di fatto la formazione e l’aggiornamento di tale tipologia di mediatori alle direttive del Cnf, sembrano poi consolidare un percorso formativo di stampo sempre più giuridico che inevitabilmente condiziona le evoluzioni nell’utilizzo della mediazione in ambito civile.

Ulteriori modifiche sono state poi apportate al D.m. 180/2010 dal D.m. 139/2014 e sicuramente ulteriori modifiche occorrerebbe apportare (oltre quelle necessarie ad adeguare il regolamento alla normativa dettata in attuazione della Direttiva 2013/11/UE in materia di ADR per i consumatori[10]) per introdurre regole più selettive – ad esempio – per il reclutamento dei formatori e per gli enti di formazione.

4. L’autonomia scientifico disciplinare.

Tuttavia, ogni proposta di modifica orientata alla sola revisione del sistema della formazione dei mediatori sia pur formulata con le migliori intenzioni e con l’obiettivo di elevare la qualità della mediazione appare per sua natura viziata da una prospettiva miope.

E ciò perché limitarsi a modificare i requisiti formali di accreditamento dei formatori e/o degli enti di formazione, richiedendo altre attività, siano esse di tipo editoriale o piuttosto esperienziale, sarà sempre e inevitabilmente una soluzione inappagante, poiché la fissazione dei requisiti costituisce un posterius e non un prius nella individuazione del profilo dei formatori, ma anche degli stessi mediatori[11].

Al fine di stabilire chi possiede i requisiti per poter formare un mediatore (e come dovrà essere formato un mediatore) occorrerà stabilire, quindi, chi possiede i requisiti per formare alla mediazione. Ma chi stabilisce queste regole e soprattutto qual è la materia dell’insegnamento?

Ad oggi la mediazione dei conflitti in Italia costituisce la Cenerentola di altre consolidate discipline in ambito giuridico (che, peraltro, sovente mal ne tollerano la sua presenza nei programmi di insegnamento) in quanto la sua trasversalità ne consente in qualche modo l’affiancamento fino ad una sostanziale assimilazione all’area giuridica (in particolare, dal diritto processuale civile al diritto civile) ovvero a quella della psicologia, della antropologia, della sociologia e delle neuroscienze, ma anche a quella umanistica e filosofica[12].

Che la mediazione viva e sia partecipe di molteplici anime costituisce la peculiarità della materia, evidenziandone chiaramente la sua poliedricità, ma ciò non può significare continuare a forzarne la sua natura entro schemi concettuali e percorsi ordinamentali che ne mortificano l’evoluzione non consentendo di riconoscere alla stessa una raggiunta e indiscutibile autonomia scientifica e disciplinare[13].

Questo è il punto chiave di una vera svolta per la mediazione dei conflitti (e perciò stesso non soltanto della mediazione ex D.lgs. 28/2010) e per la costruzione di percorsi formativi che possano rispondere a criteri adeguati ed autonomi. L’autonomia scientifico disciplinare della mediazione costituisce dunque un prius per l’avvio della costruzione di un sistema di qualità della formazione e poi del sistema mediazione[14].

Sino a quando la mediazione non assumerà una sua autonomia scientifico disciplinare quale settore autonomo tra quelli individuati nell’area di riferimento dal Ministero dell’Università e della Ricerca[15], vivrà una situazione di disagio culturale, essendo destinata ad una condizione di perenne vassallaggio che la condurrà volta a volta ad assumere le diverse sembianze determinate dal feudatario di turno[16].

Senza il riconoscimento della autonomia scientifico disciplinare ogni sforzo per affermare la qualità della mediazione e della formazione alla mediazione resterà così destinato ad un sostanziale insuccesso. Soltanto quando la mediazione dei conflitti assumerà dignità di disciplina autonoma sarà possibile conseguentemente selezionare adeguatamente i formatori e attraverso adeguati percorsi creare una classe di professionisti che, nelle diverse aree della mediazione, rispondano agli elevati standard qualitativi da tutti auspicati.

5. Le commissioni ministeriali per la riforma della giustizia civile.

In questa prospettiva, prima di esaminare le attuali prospettive di riforma appare utile una breve ricognizione circa l’attenzione riservata al tema della formazione in materia di mediazione nelle sedi istituzionali ove sono state elaborate ipotesi di revisione della legislazione vigente.

Al riguardo occorre ricordare che nell’ultimo lustro hanno sinora lavorato ad ipotesi di riforma tre gruppi di studiosi ed esperti chiamati presso il Ministero della Giustizia per proporre nuove soluzioni per l’efficienza del processo e più in generale del sistema della giustizia civile e, quindi, dei procedimenti ADR, ivi inclusa la mediazione.

In tal senso, occorre ricordare che la Commissione presieduta dal prof. Guido Alpa era stata chiamata nel 2016 ad elaborare proposte anche per «favorire la formazione e lo sviluppo di una cultura della conciliazione»[17] ed aveva evidenziato la centralità della formazione del mediatore[18], ma anche dell’avvocatura e della magistratura[19], ponendo specifica attenzione proprio alla formazione degli avvocati e dei praticanti avvocati[20].

Tuttavia, ogni proposta formulata dalla Commissione Alpa è rimasta nel cassetto, come anche ogni progettualità elaborata dal Tavolo tecnico coordinato dalla prof.ssa Paola Lucarelli ed istituito nel dicembre 2019 presso il Gabinetto del Ministro della Giustizia[21].

L’impegno del gruppo di esperti sulle ipotesi di riforma della disciplina in materia di mediazione dei conflitti, come primo passo verso la elaborazione del testo unico in materia di ADR, veniva orientato alla elaborazione di linee guida al fine di rendere coerente e razionale la disciplina in materia. La necessità di riformare il D.lgs. 28/2010 veniva ritenuta come urgente già nella prima fase dei lavori del Tavolo, nel corso della seconda seduta congiunta, con la disponibilità di alcuni membri ad approfondire i suddetti profili e proporre un documento analitico[22]. L’anticipazione dell’intervento in funzione correttiva si concretizzava nella proposta di un principio di legge delega per “la revisione del sistema di formazione in materia di mediazione”[23].

La proposta emersa al Tavolo mirava ad «un ripensamento del tema della formazione radicato nel principio di autonomia scientifico disciplinare. La tradizione della formazione giuridica si è nutrita del valore esclusivo e primario che il diritto e la giurisdizione statale hanno avuto nel processo di (almeno tendenziale) pacificazione sociale segnando e contribuendo al passaggio da una società di conflitti risolti con la forza, fisica o morale, a una società dell’ordine per autorità del giudice che applica regole generalmente riconosciute. Così la formazione tradizionalmente si è concentrata su conflitto regola, o meglio su controversia e applicazione giudiziale del diritto dirimente. Una formazione che si dedica quasi esclusivamente alla logica avversariale propria della disputa, all’individuazione del rimedio che ristabilisce l’ordine attribuendo torto e ragione, ai principi, naturalmente, che informano le soluzioni, nonché agli strumenti formali e procedurali della professione dedicata alla risoluzione della lite»[24].

Le conclusioni dell’analisi svolta nella relazione giungono a porre al centro della riflessione l’esigenza di pervenire al riconoscimento dell’autonomia scientifico disciplinare della mediazione dei conflitti. L’evoluzione qualitativa del sistema mediazione postula dunque l’autonomia dell’insegnamento quale presupposto ormai ineludibile per la creazione di adeguati percorsi finalizzati alla creazione di una estesa e radicata cultura della mediazione e di professionisti che, nelle diverse aree della mediazione, rispondano agli elevati standard qualitativi da tutti auspicati[25].

Da ultimo e di recente, è stata chiamata a lavorare per la riforma la Commissione presieduta dal prof. Francesco Paolo Luiso ed istituita presso l’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia che ha consegnato la relazione finale il 3 giugno 2021[26].

La prospettiva delineata dalla Commissione Luiso, che si pone in linea con le linee direttrici tracciate al Parlamento dalla Ministra Cartabia, sin dall’esordio chiarisce che «intervenire sulla complementarità e la coesistenza delle due vie, giudiziale e stragiudiziale, significa ampliare la risposta di giustizia a beneficio degli interessati e della società intera». Peraltro, «la riforma che contempli un sistema integrato di giustizia muove passi decisi al fine, prima di tutto, di determinare una profonda innovazione culturale, dalla formazione universitaria a quella professionale, capace di accogliere e sostenere il cambiamento»[27].

La formazione universitaria e la formazione professionale, quindi, quale passaggio decisivo per l’innovazione e il cambiamento nella direzione indicata[28].

La centralità della formazione nel quadro delle ipotesi di riforma avanzate dalla Commissione trova riscontro nel principio di delega proposto «per elevare la qualità del servizio di mediazione nella consapevolezza che a tal fine occorre, da un canto, rinnovare e rafforzare la formazione iniziale e permanente dei professionisti e degli operatori del sistema e, dall’altro, avviare la revisione dei criteri per l’accreditamento degli organismi di mediazione, dei mediatori, degli enti di formazione e dei formatori, con il conseguente adeguamento anche del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180 (nel solco tracciato dall’articolo 4 della Direttiva 2008/52/CE)».

D’altro canto, «il perseguimento degli obiettivi di qualità ed efficacia dovrà inoltre essere coordinato con la formazione in ambito universitario al fine di arricchire la preparazione del giurista con una cultura della soluzione dei conflitti pacifica e co-esistenziale»[29].

Una prospettiva, dunque, che si muove inevitabilmente lungo le direttrici della formazione universitaria di base e di quella professionale e avanzata[30].

6. La riforma all’esame del Parlamento e la proposta per il MIUR.

Nelle linee programmatiche indicate al Parlamento dalla Ministra della Giustizia Cartabia il 18 marzo 2021 per la riforma della giustizia civile un ruolo centrale è stato assegnato ai sistemi alternativi di risoluzione delle controversie e, in particolare, alla mediazione dei conflitti, non soltanto per gli «effetti virtuosi di alleggerimento dell’amministrazione della giustizia», ma in funzione della loro «complementarità rispetto alla giurisdizione, di coesistenza» più che di alternatività.

Secondo le indicazioni della Ministra Cartabia, «è tempo di ripensare il rapporto tra processo davanti al giudice e strumenti di mediazione» in una prospettiva sinergica, tenendo presente che «questi strumenti, se ben calibrati, tracciano percorsi della giustizia che tengono conto delle relazioni sociali coinvolte, risanano lacerazioni e stemperano le tensioni sociali».

In questa logica proprio con riguardo agli “strumenti di mediazione dei conflitti”, nella relazione si precisa con riguardo alla formazione che «il tempo che stiamo attraversando offre una occasione importante per coltivare e diffondere una nuova cultura giuridica, aperta a una pluralità di vie della giustizia, da svilupparsi anche attraverso adeguati strumenti di formazione rivolti oltre che al mediatore, anche al difensore e al giudice, e che debbono trovare spazio sin dai primi anni degli studi universitari».

Un’occasione storicamente importante, dunque, per porre le basi di una nuova cultura giuridica che attende di entrare a pieno titolo e nel modo più adeguato nei percorsi di formazione universitaria[31].

E coerentemente con quanto indicato nella relazione e raccogliendo le proposte formulate dalla Commissione Luiso, all’esito di una serie di interlocuzioni e della bollinatura della Ragioneria dello Stato, il 16 giugno 2021 la Ministra Cartabia ha firmato i 24 emendamenti al ddl AS 1662, che ora hanno iniziato il loro iter parlamentare, nella prospettiva di un approdo nell’aula di Palazzo Madama a partire dal 20 luglio 2021.

I princìpi contenuti nel maximendamento del Governo sono attualmente all’esame della Commissione Giustizia del Senato e per la formazione sono stati individuati tutti i punti nevralgici da riformare per elevare gli standard qualitativi della mediazione[32]:

«c-octies) procedere alla revisione della disciplina sulla formazione e sull’aggiornamento dei mediatori, aumentando la durata della stessa e dei criteri di idoneità per l’accreditamento dei formatori teorici e pratici, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica;

c-decies) riformare e razionalizzare i criteri di valutazione della idoneità del responsabile dell’organismo di mediazione, nonché degli obblighi del responsabile dell’organismo di mediazione e del responsabile scientifico dell’ente di formazione;

c-undecies) valorizzare e incentivare la mediazione demandata dal giudice di cui all’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, in un regime di collaborazione necessaria fra gli uffici giudiziari, l’università, l’avvocatura, gli organismi di mediazione, gli enti e le associazioni professionali e di categoria sul territorio che realizzi stabilmente la formazione degli operatori, il monitoraggio delle esperienze e la tracciabilità dei provvedimenti giudiziali che demandano le parti alla mediazione».

La formulazione dei princìpi si muove nella auspicata direzione della revisione dell’intero sistema formativo professionale che tenga conto delle esperienze (positive e negative) maturate sin dal 2010. In particolare, nei tre princìpi si indicano gli obiettivi della riforma che possono così riassumersi:

a) per i mediatori: revisione della formazione di base e di aggiornamento (con aumento della durata dei corsi);

b) per i responsabili degli organismi: riforma e razionalizzazione dei criteri di valutazione di idoneità e degli obblighi posti a loro carico;

c) per i formatori: revisione dei criteri di idoneità per l’accreditamento (con aumento degli stessi);

d) per i responsabili scientifici degli enti di formazione: riforma e razionalizzazione degli obblighi posti a loro carico;

e) per avvocati, magistrati e per tutti gli operatori: nel quadro della valorizzazione della mediazione demandata, previsione di meccanismi stabili di formazione sul territorio.

Il quadro delineato dalla riforma comprende dunque tutti gli attori del sistema mediazione allo scopo di rafforzare i percorsi formativi ed i criteri di valutazione per il raggiungimento di più elevati standard qualitativi.

Peraltro, la necessaria ampiezza della formulazione dei citati princìpi lascia spazio ad una riflessione approfondita e ad un confronto aperto tra tutti gli attori della formazione e degli operatori del sistema.

La revisione della normativa vigente (il D.lgs. 28/2010 e ancor più il D.m. 180/2010) in materia di formazione costituisce invero una occasione straordinaria per ripensare alla direzione da imprimere al futuro della mediazione quale strumento cardine di pacifica coesistenza sociale e della professione del mediatore.

Resta così da avviare al più presto il percorso della riforma da parte del Ministero dell’Università e della Ricerca.

L’esperienza maturata in questi anni e la spinta propulsiva innescata dal Ministero della Giustizia costituiscono un importante viatico perché si apra ad una riflessione che possa condurre rapidamente al riconoscimento – da più parti sollecitato – dell’autonomia scientifico disciplinare e dell’introduzione dell’insegnamento della mediazione quale attività formativa indispensabile nei percorsi universitari delle classi giuridiche e non solo.

[1] Il testo costituisce la versione integrale dell’intervento alla tavola rotonda del convegno “Mediazione dei conflitti. Una formazione universitaria indispensabile”, svoltosi il 2 luglio 2021 ed organizzato dal Laboratorio di ricerca “Un Altro Modo” e dalle Università di Firenze, Pisa e Siena.

[2] Sia consentito il rinvio a M. Marinaro, Solo l’autonomia scientifico disciplinare apre ad una mediazione di qualità, in Guida al diritto on-line (www.diritto24.ilsole24ore.com), 21 febbraio 2014; Id., Per l’autonomia scientifico disciplinare della mediazione, in Id, Materiali di ricerca per la mediazione conciliativa, II, Roma, 2014, p. 24 ss.; Id, “Il Paese dove tutto finisce in tribunale”. Riflessioni sparse sulle prospettive di riforma della giustizia civile, in Judicium (www.judicium.it), 12 dicembre 2018.

[3] Nel considerando 16 della Direttiva 2008/52/CE traspare con evidenza l’esigenza fondamentale di curare la formazione e controllare la qualità della mediazione: «Al fine di garantire la fiducia reciproca necessaria in relazione alla riservatezza, all’effetto sui termini di decadenza e prescrizione nonché al riconoscimento e all’esecuzione degli accordi risultanti dalla mediazione, gli Stati membri dovrebbero incoraggiare, in qualsiasi modo essi ritengano appropriato, la formazione dei mediatori e l’introduzione di efficaci meccanismi di controllo della qualità in merito alla fornitura dei servizi di mediazione».

[4] Redatto da un gruppo di esperti con l’assistenza della Commissione europea e presentato a Bruxelles il 2 luglio 2004.

[5] Approvato all’unanimità dai rappresentanti dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa nel corso dell’assemblea plenaria del Cepej – Commissione per l’efficienza della giustizia – svoltasi a Strasburgo nei giorni 3 e 4 dicembre 2018.

[6] Sul tema, M. Marinaro, La scelta dell’organismo di mediazione, in CostoZero (www.costozero.it), 12 marzo 2019.

[7] Sia consentito il rinvio per un approfondimento a M. Marinaro, La designazione del mediatore tra legislazione e prassi ministeriale, in www.judicium.it, 2 giugno 2012, e in Rivista dell’arbitrato, 2012, 4, pp. 1007-1024.

[8] Il riferimento è alla nota ministeriale del 2 febbraio 2011 avente ad oggetto “Organismi di mediazione ed enti di formazione: nota illustrativa per la compilazione dei modelli di domanda”.

[9] Sul tema, M. Marinaro, L’anomalia di un tirocinio assistito a posteriori, in Guida al Diritto, n. 36, 10 settembre 2011, pp. 36-38; al riguardo non può non segnalarsi poi la circolare interpretativa del Ministero della Giustizia del 20 dicembre 2011 avente a oggetto “Interpretazione misure correttive decreto interministeriale 145/2011”.

[10] Ancora oggi il Ministero della Giustizia non ha adeguato la normativa regolamentare per la mediazione in materia di consumo.

[11] Peraltro, senza coinvolgere sin dalle basi la formazione degli operatori (avvocati, magistrati, consulenti tecnici) che concorrono al funzionamento dell’intero meccanismo della giustizia (di cui la mediazione è parte) in una prospettiva culturale ben più ampia di innovazione culturale che valorizzi il consenso, la partecipazione, l’autonomia, la responsabilità, la solidarietà.

[12] Nella dottrina italiana, è stato teorizzato il modello umanistico-filosofico che nel distinguersi da quello negoziale del PON della Harvard Law School si ispira a quello umanistico di Jaqueline Morineau e che per alcuni versi appare simile a quello di Gary Friedman e, per altri versi, a quello trasformativo di Joseph Folger (M. Martello, La formazione del mediatore, Torino, 2014, p. 3 ss.).

[13] Sussiste infatti una insuperabile esigenza di formazione universitaria di base che non può essere lasciata alla buona volontà di pochi in alcuni Atenei. Gli argomenti che radicano l’autonomia della mediazione possono rinvenirsi agevolmente nell’ampia e consolidata normativa sovranazionale ed in quella nazionale, nelle prassi che a vari livelli possono essere rilevate, ma ancor di più nelle indiscutibili esigenze della didattica e della ricerca scientifica. La natura esperienziale della mediazione, infatti, postula la fondazione di una cornice teorica di riferimento che solo attraverso il riconoscimento formale dell’autonomia può consentire di radicarsi, consolidarsi ed evolversi adeguatamente.

[14] Appare utile segnalare che anche se un raggruppamento per aree tematiche esisteva già dal 1973, i settori scientifico disciplinari (ssd) sono stati introdotti dalla legge 19 novembre 1990, n. 341. Gli attuali ssd (dicembre 2020) sono stati previsti dal D.m. 30 ottobre 2015, n. 855, con specifico riferimento all’art. 15 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, “recante norme in materia di organizzazione delle Università, di personale accademico e reclutamento” (in vigore dal 20 novembre 2015, data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, n. 271).

“L’afferenza disciplinare dei docenti universitari, ovvero la collocazione scientifica che ciascun docente assume nel sistema universitario, si suddivide in raggruppamenti disciplinari. Ai sensi dell’articolo 15 della legge 240 del 2010, la struttura di tali raggruppamenti si articola in tre livelli dal livello generale a quello più particolare rappresentati rispettivamente da: i Macro Settori Concorsuali (MSC = 86); i Settori Concorsuali (SC = 190); i Settori Scientifico Disciplinari (ssd = 383). A loro volta i Macro Settori Concorsuali fanno riferimento alle 14 aree CUN. Le aggregazioni dei SC e dei ssd sono definite, con cadenza almeno quinquennale, con decreto del Ministro, sentito il CUN, secondo criteri di affinità scientifica. Un Settore Concorsuale richiede la presenza di almeno venti Professori di I fascia. Le aggregazioni disciplinari sono importanti perché sono alla base di molti aspetti organizzativi delle università, dall’articolazione degli ordinamenti didattici dei corsi di studio, alla caratterizzazione dei Dipartimenti universitari, al reclutamento dei docenti” (fonte: MIUR; www.miur.gov.it).

[15] Invero, il percorso scientifico e disciplinare maturato dal 2010 può consentire l’immediato riconoscimento della mediazione dei conflitti quale autonomo ssd e prim’ancora quale autonomo MSC (o almeno quale autonomo SC) nell’area disciplinare delle scienze giuridiche.

[16] La mediazione, quale «applicazione esperienziale mutuata dalla pratica evoluta oltreoceano» è divenuta in Italia un «istituto ai margini degli studi processualistici, trascurato dagli studiosi di diritto sostanziale» (testualmente, P. Lucarelli, Prefazione a M. Martello, La formazione del mediatore, cit., p. XIII); l’evoluzione della mediazione postula necessariamente un affrancamento da ambiti disciplinari per taluni aspetti contigui, ma che rischiano di soffocarne le potenzialità; si veda anche, M. Marinaro, Solo l’autonomia scientifico-disciplinare apre ad una mediazione di qualità, cit.; v. anche Id., “Il Paese dove tutto finisce in tribunale”, cit.

[17] Come previsto nel decreto istitutivo del 7 marzo 2016 a firma del Ministro Andrea Orlando con il quale veniva stata costituita presso l’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia una “Commissione di studio per l’elaborazione di ipotesi di organica disciplina e riforma degli strumenti di degiurisdizionalizzazione, con particolare riguardo alla mediazione, alla negoziazione assistita e all’arbitrato”, che fissava al 30 settembre 2016 il termine per la consegna della relazione e delle proposte di disciplina (con D.m. 30 settembre 2016 veniva prorogato detto termine al 15 gennaio 2017). Il testo finale della relazione veniva consegnato il 18 gennaio 2017 (è stato pubblicato anche nel volume a cura di G. Alpa ed altri, Un progetto di riforma delle ADR, Napoli, 2017).

[18] Nel rimarcare l’esigenza della partecipazione personale della parti alla mediazione, nel testo illustrativo delle proposte di riforma, la Commissione rileva che «L’attività di mediazione è volta infatti a riattivare la comunicazione tra le parti attraverso la facilitazione del terzo, il quale appunto deve avere una specifica formazione proprio sulle tecniche di comunicazione e deve avere un contatto diretto con le persone coinvolte nel conflitto, senza il filtro dei professionisti che assistono la parte, ma non si sostituiscono ad essa» (pag. 30).

[19] Nell’affrontare il tema della mediazione endoprocessuale, «La Commissione ritiene comunque che il buon uso della mediazione demandata risieda anche in percorsi di formazione della classe forense e della magistratura, richiedendo un mutamento culturale di tutte le categorie coinvolte. Auspica quindi che il Signor Ministro, nello spirito di collaborazione con le istituzioni formative interessate, possa raccomandare la diffusione e la valorizzazione degli incontri di studio sul tema della mediazione» (pag. 15).

[20] Infatti, in relazione agli avvocati-mediatori di diritto, la Commissione aveva proposto la riforma del comma 4-bis dell’art. 16 D.lgs. 28/2010 con il seguente testo: «Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori. Gli avvocati che partecipano a corsi di formazione in materia di mediazione e conciliazione possono acquisire crediti ai fini della formazione continua previsti dal regolamento attuativo della l. 31 dicembre 2012, n. 247. Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati. La partecipazione del praticante avvocato ad un incontro di mediazione equivale alla partecipazione ad una udienza in tribunale ai fini della pratica forense fino a concorrenza della metà degli obblighi formativi di udienza. Dall’attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Sul tema, M. Marinaro, La formazione degli avvocati mediatori di diritto, in Mondo ADR (www.mondoadr.it), 13 giugno 2016. Si segnalano altresì la mozione dell’assemblea del Coordinamento della Conciliazione Forense adottata nell’assemblea di Bologna (7 e 8 aprile 2016) e quella adottata nell’assemblea di Perugia (25 e 28 ottobre 2018).

[21] Con D.m. del 23 dicembre 2019 il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede istituiva il Tavolo sulle procedure stragiudiziali in materia civile e commerciale con l’obiettivo di “promuovere la materia delle ADR secondo un modello moderno ed efficiente e favorendo la circolazione delle buone prassi in tutto il territorio nazionale e a livello europeo”. Le considerazioni poste a fondamento del decreto istitutivo erano chiare e di ampio respiro, intorno all’opportunità di “valutare anche l’elaborazione di nuove proposte normative in materia di ADR”, alla “esigenza di promuovere un percorso professionalizzante, in modo da consentire la formazione di un’alta qualificazione in ADR, tale da contribuire alla costruzione di un sistema italiano che si ponga come modello di riferimento in Europa”.

[22] I lavori del Tavolo tecnico – insediato il 21 gennaio 2020 – venivano dapprima interrotti e poi rallentati dalla situazione di emergenza sanitaria derivante dalla pandemia da Covid-19. Ciò nonostante, gli esperti elaboravano e sottoscrivevano il 28 marzo 2020 un “Manifesto della giustizia complementare alla giurisdizione” al quale aderivano molti studiosi, accademici, magistrati, avvocati, mediatori. All’esito della riunione del 4 giugno 2020 il Ministero non concedeva la pur preannunciata proroga per la prosecuzione ed ultimazione dei lavori che si arrestavano alla scadenza prevista del 30 giugno 2020. La relazione tecnica e le linee programmatiche elaborate dal Tavolo veniva consegnata il 27 luglio 2020 (pubblicata in Mondo Adr (www.mondoadr). Sul tema, M. Marinaro, Per una giustizia sostenibile e coesistenziale ai tempi del Covid-19, in Luiss Open (www.open.luiss.it), 29 aprile 2020.

[23] Nella relazione finale, il tema della formazione viene affrontato per la prima volta in una sede istituzionale in una prospettiva allargata e senza pregiudizi, nella consapevolezza che occorra innovare la cultura professionale. In tal senso, di particolare interesse sono le pagine dedicata al “L’innovazione della cultura professionale in materia di ADR: dalla formazione universitaria alla formazione degli operatori del conflitto” (pag. 31 ss.).

[24] Come si legge ancora nella relazione finale del Tavolo tecnico: «È richiesta urgentemente la consapevolezza dei limiti del diritto/protezione e delle enormi potenzialità, ancora inesplorate, del diritto propulsore di sviluppo della personalità e dell’autonomia della persona nelle relazioni sociali: il diritto non può impedire tale sviluppo, dovendo, anzi, per espressa e felice disposizione della Costituzione, contribuire a riconoscerne la priorità, garantirlo e rimuovere gli ostacoli che lo impediscono. La via che conduce alla piena esplicazione della personalità è quella di un diritto che lasci, fin dove possibile, il maggior spazio all’autonomia nella gestione delle relazioni e dei conflitti, che intervenga affinché l’esercizio dell’autonomia sia effettivamente garantito, riconosciuto e rispettato, che si configuri quale ancoraggio effettivo, accessibile e disponibile nel caso di mancato successo della volontà privata nella soluzione del problema: un diritto, dunque, forte e certo per la tutela di soggetti privi, per qualsiasi ragione, del volere/potere di autodeterminazione, e un diritto, nello stesso tempo, esplicitamente, convintamente e rigorosamente concedente agli individui il tempo e lo spazio necessari per la comprensione e la valutazione delle cause del problema, l’ascolto reciproco, la ricerca di una soluzione condivisa, in sintesi, per l’acquisizione di una piena consapevolezza e autonomia nella soluzione dei casi difficili della vita». Sia consentito il rinvio a M. Marinaro, La mediazione dei conflitti tra personalismo e solidarismo costituzionali, in Guida al diritto on-line (www.diritto24.ilsole24ore.com), 26 giugno 2014 e in “Il Quotidiano del diritto – Il Sole24Ore”, online, 27 giugno 2014; anche in Id., Materiali di ricerca per la mediazione conciliativa, cit., p. 28 ss.; v. inoltre, Id., “Il Paese dove tutto finisce in tribunale”, cit.

[25] Nei documenti dei lavori preparatori del Tavolo tecnico è depositata l’analisi sui profili di attenzione per un intervento sulla formazione dei professionisti in mediazione con una serie di ipotesi di lavoro per la riforma:

“In linea generale l’attività dell’ufficio ministeriale preposto alla mediazione potrebbe trovare supporto in organo composto da esperti che in sede consultiva possa indicare linee guida interpretative ed operative per gli odm e per gli enti di formazione.

1.Profilo generale

a) creazione di un nuovo SSD per mediazione, negoziazione e ADR nell’alveo delle scienze giuridiche [Ministero dell’università e della ricerca];

b) introduzione nella formazione giuridica/economico/politica triennale e a ciclo unico di un insegnamento obbligatorio/opzionale da scegliere tra quelli afferenti al nuovo SSD [Ministero dell’università e della ricerca; Tavolo tecnico per la riforma del percorso di studi di giurisprudenza];

c) rafforzamento degli standard di solidità richiesti agli enti di formazione per ridurne il numero al fine di garantire la massima qualità della formazione [modifica D.m. 180/2010];

2.Profilo professionale del mediatore

a) rafforzamento della formazione del mediatore civile: durata del corso base di 60/80 ore e previsione di tirocini assistiti con odm convenzionati (anche mediante sistemi telematici); possibilità di prevedere moduli aggiuntivi di “comprensione generale del diritto” per coloro che non sono in possesso di tale formazione di base [modifica D.m. 180/2010];

nella revisione dei programmi occorre prendere in considerazione i requisiti minimi di formazione per mediatori approvato dall’Assemblea del CEPEJ (da pag. 19):

https://rm.coe.int/mediation-development-toolkit-ensuring-implementation-of-the-cepej-gui/16808c3f52

b) revisione della formazione in aggiornamento (eliminazione tirocini successivi “perpetui”; previsione di attività di tirocinio preventiva) [modifica D.m. 180/2010];

c) previsione modulo specialistico per mediatori esperti in materia di consumo (10 ore) con norma transitoria di riconoscimento dei mediatori già iscritti come tali nell’elenco ministeriale; ciò al fine di un corretto adeguamento anche alla Direttiva 2013/11/CE e del D.lgs. 130/2015 [modifica D.m. 180/2010];

3.Profilo professionale del responsabile dell’odm

a) previsione della formazione per il responsabile dell’odm che può essere analoga (base e aggiornamento) a quella del mediatore [modifica D.m. 180/2010];

b) prevedere un numero massimo di OdM per i quali si può svolgere detta funzione [modifica D.m. 180/2010];

4.Profilo professionale dell’avvocato mediatore

a) formazione di base e di aggiornamento ridotta (esclusione della parte giuridica generale) presso enti di formazione accreditati; particolare attenzione alle tecniche di negoziazione e di mediazione [modifica D.m. 180/2010];

5.Profilo professionale dell’avvocato che assiste in mediazione

a) formazione specialistica minima (negoziazione, mediazione, ADR: v. art. 27.3 Cod. deont. forense) nel monte ore annuale e triennale (come per la formazione in materia deontologica) dell’aggiornamento professionale obbligatorio (ed es. 9 cfu nel triennio con un minimo di 2 cfu all’anno) [modifica Codice deontologico forense];

b) previsione del profilo di avvocato specialista in mediazione e ADR [regolamento specializzazioni forensi];

Sul tema occorre fare riferimento alle linee guida del CEPEJ sviluppate dal CCBE ed approvate nell’Assemblea Plenaria sulla formazione dell’avvocato che assiste il cliente in mediazione:

https://rm.coe.int/cepej-2019-21-en-training-programme-for-lawyers-to-assist-clients-in-m/1680993304

6.Profilo professionale dei formatori

a) formazione di aggiornamento affidata alle sole università che sono accreditate quali enti di formazione per la mediazione; rivedere i criteri di idoneità per l’accreditamento quali formatori teorici e pratici [modifica D.m. 180/2010]

7.Profilo professionale del responsabile scientifico dell’ente di formazione

a) rivedere i criteri di valutazione della idoneità per l’accreditamento considerato che è già previsto che ogni ente debba nominare un “responsabile scientifico di chiara fama ed esperienza in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie” [modifica D.m. 180/2010];

b) prevedere un numero massimo di enti di formazione per i quali si può svolgere detta funzione [modifica D.m. 180/2010];

8.Disciplina transitoria.

Occorrerà prevedere infine una disciplina transitoria con profili ad esaurimento e termini congrui per consentire adeguamento ai nuovi più elevati standard”.

[26] Ci si riferisce alla Commissione di studio (istituita dalla Ministra Marta Cartabia con D.m. del 12 marzo 2021), per la elaborazione di proposte e interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi, al fine di ridurre i tempi dei processi e ottenere una migliore efficienza dell’amministrazione della giustizia, alla luce del disegno di legge AS 1662, recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie”. Il testo della relazione finale è pubblicato sul sito web del Ministero della Giustizia (www.giustizia.it).

[27] Dall’introduzione della relazione finale (pag. 19) ove si precisa ulteriormente: «La riforma della giustizia civile assegna un ruolo significativo alla gestione negoziale delle liti che, per essere socialmente riconosciuta nei suoi valori e utilmente praticata, deve poter godere di interventi mirati e adeguati. Una riforma che persegua obiettivi di efficacia ed efficienza del sistema giustizia conduce lo ius dicere nella dimensione della scelta inevitabile da parte dei confliggenti in ragione dell’oggetto della controversia, della natura del rapporto, del contesto di riferimento. Si attiva la delega giudiziale dopo aver percorso la strada del confronto, del dialogo generativo di soluzioni. Considerando che l’autonomia non può essere solo promossa, ma deve essere incentivata con interventi adeguati, la riforma che contempli un sistema integrato di giustizia muove passi decisi al fine, prima di tutto, di determinare una profonda innovazione culturale, dalla formazione universitaria a quella professionale, capace di accogliere e sostenere il cambiamento.

Il legislatore promuove tali obiettivi e sostiene i cittadini, le imprese, tutti i professionisti operatori del contenzioso, nell’impiego dei metodi di composizione dei conflitti complementari alla giurisdizione, per la valorizzazione della pratica dell’autonomia privata conciliativa assistita da professionisti competenti e per l’efficacia che tale pratica produce, come già verificato, nello smaltimento dell’arretrato giudiziale, nella riduzione delle pendenze e nell’accelerazione delle procedure. Un sistema di qualità orientato alla prevenzione e alla gestione coesistenziale dei conflitti che precede o si accompagna alla giurisdizione, rendendo sostenibile il sistema della giustizia civile mediante il riequilibrio del rapporto tra domanda ed offerta, realizza l’efficienza del sistema giustizia e coniuga l’effettiva tutela dei diritti, il rafforzamento della coesione sociale ed il rilancio del sistema economico».

[28] Quanto alla formazione professionale un ruolo decisivo può essere svolto per l’avvocatura dagli Ordini forensi, dal CNF, dalle Associazioni specialistiche forensi e dalla Scuola Superiore dell’Avvocatura. Come d’altro canto, per la magistratura, diviene centrale la formazione organizzata in sede centrale ed in quella decentrata dalla Scuola Superiore della Magistratura. Senza dimenticare l’importanza di occasioni di confronto e di studio, nel costante dialogo orientato anche alla ricerca e alla valorizzazione delle buone prassi per una giustizia sempre più efficiente, sostenibile, condivisa.

[29] Dalla relazione illustrativa contenuta nella relazione finale (pag. 24 s.) con riguardo all’ipotesi di principio di legge delega sub n), così formulato:

«riformare la disciplina sulla formazione dei mediatori e potenziare i requisiti di qualità e trasparenza degli organismi di mediazione, degli enti di formazione in mediazione, il sistema di controllo sull’attività degli organismi di mediazione e dei mediatori tramite la revisione dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, e del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, in particolare prevedendo:

1) la definizione dei requisiti minimi di solidità finanziaria, efficienza, specializzazione dell’oggetto sociale e trasparenza richiesti agli organismi di mediazione e agli di enti di formazione al fine di garantire la massima qualità del servizio di mediazione e della formazione dei mediatori;

2) la revisione dei criteri di valutazione della idoneità e degli obblighi del responsabile dell’organismo di mediazione e del responsabile scientifico dell’ente di formazione nonché prevedere un numero massimo di organismi di mediazione ed enti di formazione per i quali si può svolgere detta funzione;

3) la revisione della disciplina della formazione base e di aggiornamento dei mediatori, aumentando la durata della stessa;

4) la revisione dei criteri di idoneità per l’accreditamento dei formatori teorici e pratici;

5) l’aggiornamento dei formatori in mediazione affidato alle università anche in collaborazione con gli enti di formazione accreditati;

6) una disciplina transitoria con profili ad esaurimento e termini congrui per consentire l’adeguamento ai nuovi più elevati standard;

7) una nuova disciplina di vigilanza, supporto e monitoraggio anche statistico da parte del Ministero della giustizia con il supporto di esperti e la redazione di protocolli di qualità».

[30] In tal senso, occorre tenere presenti le indicazioni che, con riferimento alla prima bozza del PNNR, sono state fornite dalla Commissione UE: «Review and increase the use of mediation process to make it more effective in deflating pressure on the civil justice system, including: introduce the subject “mediation in legal proceedings” as compulsory in Academic course of study of Laws and (as well as in Economics) and in post-graduate specialization legal courses; training for lawyers (who are currently exercising the profession)».

D’altronde, occorre anche rilevare che con il decreto del MIUR del 31 gennaio 2018, n. 77, con il quale è stata definita la nuova classe di Laurea magistrale in Scienze giuridiche («in quanto contenente una offerta formativa innovativa») è stata individuata la “tabella delle attività formative indispensabili”. E tra gli obiettivi formativi qualificanti indicati nella tabella è stato previsto – tra gli altri – che i laureati nei corsi di Laurea magistrale della classe debbano «possedere competenze giuridiche specialistiche nei settori che coinvolgono le innovazioni tecnologiche, i profili etici, la tutela dei diritti, la promozione dello sviluppo della cultura, nonché la soluzione e la mediazione dei conflitti».

[31] In tal senso, non può risultare appagante la progressiva diffusione nell’ultimo decennio nelle università italiane di corsi istituzionali elettivi orientati alla formazione in materia di mediazione e ADR per lo più frutto dell’impegno e della sensibilità dei singoli docenti e, anche per questo motivo, collegati volta a volta ad ambiti disciplinari diversi (dal ssd IUS/15, a quello IUS/01 ed anche allo IUS/04, per rimanere nell’area delle Scienze giuridiche).

[32] Le proposte legislative sono ovviamente orientate soltanto alla formazione professionale (post lauream) nei limiti della competenza del Dicastero di via Arenula.

 

fonte https://www.judicium.it/la-formazione-alla-mediazione-dei-conflitti-spunti-di-riflessione-e-percorsi-per-la-riforma/

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